“Siamo tutti bravi con il dolore altrui”.
Parlare di dolore significa aprire una porta senza saper esattamente ciò che da quella porta può entrare od uscire.
Perchè il dolore è un qualcosa di talmente individuale, che ognuno di noi lo percepisce e lo quantifica in modo diverso.
Fa malissimo…
Quante volte abbiamo sentito i nostri amici, figli, conoscenti dire questa frase!
E quante volte (ammettiamolo senza vergogna), ci siamo ritrovati a pensare: CHE ESAGERAZIONE.
E’ normale che sia cosi, perchè la comprensione del dolore è materia complicata.
Il dolore non si vede, non si sente, non si può toccare con le mani e per quanto ci si sforzi, non lo si può misurare.
Noi possiamo solo pensare di misurare il nostro dolore e se siamo in grado di essere empatici, possiamo essere bravi a cercare di comprendere il dolore altrui.
Per comprendere il dolore altrui dobbiamo avere gli strumenti per comprendere il dolore
Comprendere il dolore non è un processo semplicissimo, specie se consideriamo che sono molto lontani i tempi in cui Cartesio, postulava come il dolore fosse la conseguenza diretta di un danno ad un tessuto o ad un organo.
Inoltre, dobbiamo considerare tutte le convinzioni personali e le connotazioni emotive e psicologiche che attribuiamo al dolore.
Affermazioni come: è morto di crepacuore oppure, non ha niente è solo un problema di testa, sono frasi che nella storia personale di ognuno di noi, possono esserci facilmente arrivate all’orecchio.
E per quanto innocue possano sembrare, esse hanno insite nel loro significato, una attribuzione di causa che non è legata ad un danno fisico o comunque a qualcosa di chiaramente riconducibile ad un fattore preciso.
Indicano invece, chiaramente la fonte del problema è attribuibile ad un fattore affettivo o ad un fattore psicologico o ad entrambi.
Ma come mi disse uno dei miei docenti, l’olandese Hugo Stam, siamo tutti molto più propensi a riconoscere in noi stessi una causa fisica del nostro dolore, piuttosto che una causa psicologica.
Da ciò però, deriva una cosa estremamente importante:
che attribuire un significato psicologico al dolore altrui, senza essere in possesso o non aver potuto valutare con gli strumenti adatti il perchè una persona ha dolore, significa di fatto creare un malato.
Cos’è il dolore.
L’organizzazione mondiale della sanità (OMS), definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno“.
Ma questa definizione non ci aiuta a rispondere alle molte domande che il paziente quotidianamente ci pone, quali ad esempio:
- perchè ho dolore?
- è normale che il dolore non passi mai?
- perchè mi fa male nei momenti più inaspettati?
- e molte altre….
Per dare tali risposte dobbiamo conoscere nel modo più approfondito possibile, quali sono i meccanismi del dolore.
Dolore che può essere classificato in mille modi come ad esempio:
- acuto
- cronico
- nocicettivo
- neurogenico
- neuropatico
- chimico
- … e chi più ne ha più ne metta…
Ma la definizione adeguata del dolore non è cosa da poco!
Se un paziente ad esempio riferisce di non avere avuto alcun beneficio dall’assunzione di farmaci antinfiammatori, forse dobbiamo porci il dubbio se il dolore è realmente causato da una infiammazione.
Allo stesso modo possiamo farci mille altre domande…
Il dolore ed il suo comportamento infatti, ci guida e ci da informazioni, dandoci indicazioni sulla possibile fonte di un problema
Tuttavia, quello su cui vorrei porre l’attenzione con questo articolo, è il modo in cui noi fisioterapisti possiamo aiutare il paziente a gestire meglio il suo dolore.
Detta così sembra semplice, invece la gestione del dolore è estremamente complicata specie se il dolore è il nostro.
Mettersi nei panni del paziente
Eh già! Perchè siamo tutti bravi con il dolore altrui.
E siamo tutti disposti, a dire ad altri che è normale sentire un pò di dolore, che bisogna pazientare, ecc…
Ma siamo disposti a fare a stessa cosa con noi stessi?
Oppure quando il dolore è il nostro, siamo disposti a ricorrere a qualsiasi farmaco, indipendentemente dagli effetti collaterali che ne può provocare l’assunzione, pur di far passare il dolore?
Siamo sicuri di conoscere il nostro dolore e abbiamo davvero la capacità di gestirlo?
Se non ci facciamo queste domande, non potremmo mai metterci dalla parte del paziente e se non siamo in grado di governare il nostro dolore quando si presenta, come possiamo pensare di chiedere ad altri di farlo?
Ecco quindi, che il nostro ruolo non è aiutare il paziente a gestire il dolore ma spiegargli alcune cose, quali ad esempio:
- se quel dolore è pericoloso
- se sopportando il dolore può produrre un danno maggiore
- quali sono le strategie e le attività che possono aiutarlo a risolvere il problema.
In Inglese la chiamano Pain Education, ed uno degli elementi più importanti della Pain Education è spiegare al paziente la natura fisiologica del suo dolore.
Il problema come detto, è che i meccanismi del dolore sono materia assai complessa e non possiamo essere certi che venga compresa così facilmente.
Specie se non vi è la capacità di guardare il paziente nella sua globalità, comprendendo le sue ansie, le sue paure e la sua richiesta d’aiuto.
Ognuno vive il dolore a modo suo
Dobbiamo avere l’onestà di dire che vivere con il dolore non è una situazione normale, sopportare il dolore per lungo tempo poi, lo è ancora meno.
Pensare di aiutare il paziente semplicemente con il colloquio, con la spiegazione, e con l’educazione all’esercizio, è un’illusione propria di chi pone al centro della questione non l’interesse del paziente ma, il suo ego etico-professionale.
Troppo spesso infatti, leggo di professionisti che si arrogano il diritto di sapere come gestire il dolore degli altri con i mezzi sopra-elencati, e devo dire che dal mio punto di vista, ovvero quello di un Fisioterpista specializzato in Terapia Manuale, questa è una limitazione enorme.
Il solo poggiare la mano sul paziente ti mette in empatia con lui, creando una connessione diretta che va oltre alle evidenze scientifiche.
È un pò come dirgli: io sono con te e ti capisco.
Dobbiamo tornare un pò indietro su questo tema a mio avviso, e non innalzare barricate procedurali costruite sull’altare dell’evidence based.
Come fisioterapisti, ci siamo evoluti negli anni, ci siamo formati e abbiamo acquisito maggiori competenze e conoscenze.
Ma siamo anche diventati un pò più impersonali e supponenti, sbandierando al mondo l’ultimo articolo letto e gridando ai quattro venti, che quanto fatto finora era tutto sbagliato.
Invece non è così.
Dobbiamo avere la capacità di continuare a formarci, mantenendo la capacità di rimanere focalizzati sulla persona che chiede il nostro aiuto
Non dobbiamo dimenticare chi siamo e nemmeno cosa facciamo.
Abbiamo molte frecce al nostro arco , e la mano è la più potente tra quelle che abbiamo nella nostra faretra.
La mano è lo strumento con cui esprimiamo la capacità di metterci in connessione con il paziente, forti della nostra formazione, esperienza e sensibilità.
Non comprendere il dolore quindi, ma comprendere il paziente con il suo dolore.
Questa deve continuare ad essere la nostra missione.