Lo sviluppo recente della Terapia manuale, ha cercato di incentrare il ragionamento clinico su un modello bio-psico-sociale, differenziandolo in maniera netta dal modello puramente bio-medico.
Nel concreto cosa significa questa differenziazione e quali sono i punti deboli ed i punti forti dei due modelli di ragionamento?
Il modello Bio-medico
Il punto di forza del modello bio-medico, è quello di riuscire a dare una diagnosi ben precisa nel caso in cui vi sia una struttura danneggiata.
Ciò è evidentemente stato reso più semplice dallo sviluppo delle tecnologie di indagine strumentale come Risonanza Magnetica (RMN) e Tomografia Asiale Computerizzata (TAC),che consentono di arrivare in tempi relativamente rapidi ed in modo molto accurato, a diagnosi precise.
Il punto debole invece, è legato alla difficoltà di applicazione del modello quando, il dolore non è legato ad un danno strutturale.
In questo caso paradossalmente, il continuo e progressivo affidamento alla diagnostica strumentale, ha portato i professionisti ad affidarsi in eccesso ai risultati che emergono da questi esami mentre, si è in parte persa la capacità di formulare una diagnosi prettamente clinica.
Non avete idea ad esempio, quante volte ho visto attribuire dolori alla spalla alla presenza di microcalcificazioni al tendine del muscolo sovraspinato.
Se queste si evidenziano con un’ecografia, quello che possiamo dedurre è le calcificazioni ci sono ma, è solo l’indagine clinica che ci dice se esse sono la fonte del dolore o se sono presenti ma non danno problemi.
Il modello Bio-psico-sociale
Nel modello bio-psico-sociale invece, si cerca di arrivare ad una corretta formulazione diagnostica, basandosi non solo sul quadro clinico del paziente ma anche, sugli aspetti relativi a:
- approccio psicologico che il paziente manifesta in relazione al suo problema
- aspetti sociali e lavorativi che possono essere la causa dell’insorgenza o del mantenimento di un problema.
Da questo deriva che il paziente viene visto nella sua globalità, trascendendo dalla semplice analisi del dolore che ci riferisce.
Si prendono in considerazione quindi i seguenti fattori:
- le potenziali fonti anatomico-strutturali del dolore
- i fattori che contribuiscono all’insorgenza del dolore
- la presenza di problematiche in altri distretti vicini (bacino, anche ecc.)
- problematiche di carattere funzionale legate a movimenti ripetuti o posture mantenute durante l’attività lavorativa (problematica sociale)
- quanto la paura del dolore, influenza la vita del paziente
- se vi sono situazioni a rischio
L’analisi dei fattori contribuenti, comprende anche l’approccio che il paziente ha nei confronti del proprio problema (sfera psicologica).
Il dolore è un’esperienza personale.
Questo perchè, essendo il dolore un’ esperienza emotiva assolutamente soggettiva esso, può essere percepito in modo diverso da persona a persona.
Ma non solo!
Il dolore, può essere percepito in modo diverso, anche dalla stessa persona, che lo considera più o meno importante al cambiare dello stato d’animo del momento.
Anche il modello bio-psico-sociale ovviamente, presenta degli aspetti negativi tuttavia, a mio modesto avviso, essi non sono in realtà legati al modello stesso, ma alla sua cattiva applicazione.
Talvolta infatti, succede che nell’incapacità di formulare una diagnosi precisa, il professionista a cui ci si rivolge si avventuri in ipotesi troppo legate alla sfera psicologica o sociale.
Questo, tende ad avvenire quando vi è una difficoltà di ricondurre il problema riferito dal paziente ad un quadro clinico preciso o comunque riferibile ad una della fonte del dolore prettamente strutturale.
Ed ecco che in assenza di risposte chiare alle sue domande, al paziente viene frettolosamente e in modo molto avventato, addossato un problema relativo alla sfera psicologica o psicosomatica.
Questo è un processo piuttosto pericoloso per due motivi:
- attribuire una componente psicologica al dolore, molto spesso sottintende il fatto che non si è stato in grado di formulare una diagnosi medica o fisioterapica adeguata.
- non è semplice per nessuno gestire un disagio psico-emotivo. Attribuire il dolore ad esso, crea di per se un problema.
E noi dobbiamo cercare di guarire le persone non creare dei malati.
Mai arrivare a facili conclusioni
Per entrare nel concreto, vi narro di un episodio.
Qualche anno fa, ho assistito ad un convegno medico in cui si parlava della diagnosi e del trattamento della lombalgia.
In quel occasione, si è asserito che:
- un episodio di lombalgia è un esperienza che tutti prima o poi vivono nel corso della vita
- i tempi di remissione spontanea della lombalgia sono di circa otto settimane
- le cause sono spesso legate alla attività lavorativa e alle posizioni che si mantengono durante il giorno.
A sentirla così, verrebbe da pensare: di cosa preoccuparsi?
Ricordo nettamente la sensazione spiacevole che ho provato nel sentire sminuire in quel modo, quello che è comunque un problema molto frequente e che ad esempio, è la maggior causa di assenza dal lavoro per malattia.
Il problema è che rifarsi ad una valutazione basata sul modello bio-psicosociale negli ultimi anni va piuttosto di moda, ma se non si padroneggia adeguatamente la materia, si rischia di far passare il messaggio che:
Gli aspetti psicologici e sociali, sono le vere cause del mal di schiena.
Non è così e non possiamo semplificare il tutto in modo banale.
A me personalmente, da molto fastidio quando ho un problema di qualsiasi tipo, sentirmi dire frasi del tipo:
- ma si, cosa vuoi che sia.
- dai che adesso passa
- è una cosa normale
- ed altre sciocchezze simili.
Tu pensa al tuo dolore che io penso al mio!!
La realtà dei fatti è che tutti siamo molto bravi con il dolore altrui, ma noi siamo fisioterapisti, e abbiamo l’obbligo di dare risposte serie e coerenti.
E per essere seri e coerenti dobbiamo, essere in grado di integrare modo equilibrato e congruo un ragionamento clinico che comprenda l’analisi approfondita degli aspetti bio-medici, sociali e psicologici del paziente.
Quanto scritto finora, serve a far comprendere che non tutte le problematiche possono essere valutate allo stesso modo.
Talvolta l’accento va posto maggiormente sull’aspetto strutturale altre, su quello disfunzionale, sociale e psicologico.
Di sicuro, non si possono fare le cose con superficialità e bisogna fare molta attenzione a cosa viene detto al paziente.
Una parola sbagliata, un interpretazione dei sintomi frettolosa, una incapacità di relazionarsi in modo umano e coinvolgente, può creare più danni del problema stesso.
Un esempio di quadro clinico in cui la comprensione di tutte le componenti è essenziale, è quello della capsulite adesiva detta anche spalla congelata.
Ma di questo vi parlerò nel prossimo articolo, cerando come al solito, di darvi indicazioni estremamente concrete e pratiche, utili a conoscere una patologia estremamente poco gradevole e difficile da trattare.
Alla prossima,