In ambito fisioterapico, ormai da qualche lustro, si pone l’accento sull’ importanza del ragionamento clinico che sottende la pratica di un fisioterapista.
Ragionamento clinico che però, deve poi trovare applicazione in una corretta formulazione del processo valutativo e terapeutico.
David Butler, nel suo libro “The Sensitive Nervous System”, edito nell’ormai lontano 2000, riassumeva la messa in pratica del ragionamento clinico con una definizione illuminante:
Wise Action
ovvero, agisci in modo saggio…
Agire in modo saggio significa andare oltre al semplice concetto di “primo non nuocere”.
Agire in modo saggio significa anche, mettere al centro della questione il paziente e quindi, costruire su di lui una valutazione che tenga conto innanzitutto, di una raccolta anamnestica approfondita, e che ci permetta quindi, di farci un’idea su alcuni aspetti essenziali quali:
- qual è la causa del problema?
- quali sono i meccanismi che sottendono alla presenza del dolore
- quali sono i fattori contribuenti a far si che il problema sia comparso e che si sia mantenuto nel tempo
- ci sono situazioni di cautela o fattori di rischio tali per cui, il trattamento fisioterapico può essere controindicato o addirittura nocivo?
E tutto questo, rappresenta solo una parte del processo valutativo perché quasi sempre, la prima domanda che il paziente ci pone è…
Quanto tempo ci vuole perché mi passi il dolore?
Difficile rispondere in modo corretto in prima seduta.
Tuttavia, se le conoscenze in nostro possesso, la nostra esperienza e le evidenze scientifiche ci vengono adeguatamente in soccorso, saremo in grado nell’arco di pochissime sedute, di esprimerci anche su altre questioni essenziali, quali:
- stabilire una prognosi, ovvero fare una previsione sull’andamento del problema, verso il ripristino di uno stato di salute.
- definire le modalità di gestione, grazie alle quali il paziente può gestire meglio il problema nella sua quotidianità.
- capire se la natura del problema può potenzialmente causare una limitazione della qualità della vita.
Capite bene quindi, che ancora prima di pensare di iniziare il trattamento, dobbiamo come professionisti, avere ben chiaro in mente il percorso che dobbiamo fare insieme al paziente.
La collega Martina Agarici, ama dire che spesso i fisioterapisti devono operare come dei piccoli detective, indagando, scrutando e osservando particolari che ci possano aiutare a definire un quadro clinico.
Quindi, se un paziente ci racconta che la mattina si sveglia con un dolore lombare, non dobbiamo dare per scontato che la causa sia legata ad un problema alla schiena.
In realtà non dobbiamo dare per scontato nemmeno che il problema sia di natura strutturale…
Tradotto in altro modo:
non sempre il dolore in una sede specifica, indica che in quella sede si sia lesionato qualcosa…
Ecco perché dobbiamo indagare.
Partiamo dal caso appena citato ovvero, quello di un paziente che si sveglia al mattino con un dolore nella zona lombare.
Le prime cose che dobbiamo conoscere, riguardano la sede e le caratteristiche del dolore così come è avvertito dal paziente, quindi:
- si estende su tutta la fascia lombare?
- è localizzato maggiormente su un lato della schiena o su entrambi i lati?
- è avvertito come un dolore profondo o superficiale ed ancora, è un dolore che “tira”, un dolore che “brucia” o un dolore ” a lama di coltello?
- fa male solo la schiena o ci sono altre zone in cui il dolore si irradia?
Se pensate che l’interrogatorio sia finito siete molto lontani dalla realtà…
Tant’è che quasi sempre nelle mie sedute, mi scuso per il terzo grado a cui sottopongo il paziente in prima visita.
Ma quando una cosa è da fare si fa, ed i pazienti normalmente, percepiscono questa procedura come espressione di professionalità e di interesse verso la persona.
Detto questo quindi, si vanno ad indagare in modo più approfondito le caratteristiche del dolore, ed in particolare:
- quali sono le attività che evocano i sintomi
- quali sono invece, le attività che tendono a far diminuire i sintomi
- qual è il comportamento del dolore nelle 24 ore
Ciò che si ottiene da questo tipo di colloquio, che andrà completato con informazioni di carattere generale relative allo stato di salute del paziente, ai farmaci che sta assumendo, ad eventuali traumi o interventi chirurgici subiti in precedenza e agli accertamenti diagnostici eseguiti, ci servirà ad ipotizzare in prima battuta, quale può essere la fonte del dolore.
Riferendoci quindi al caso descritto in precedenza, potremmo ipotizzare in un ordine di maggiore frequenza, che la fonte del dolore potrebbe essere:
- la zona lombare
- l’articolazione sacro-iliaca
- il torace
- l’anca
- una problematica a carico del muscolo
E’ importante condividere con il paziente questo tipo di procedura perché non sempre, il paziente ha coscienza del fatto che la causa del dolore può essere localizzata in una zona diversa da quella in cui il dolore viene percepito.
E quindi è importante, descrivere passo-passo il significato del nostro operare, in modo tale che il paziente si senta coinvolto in ogni cosa che facciamo.
L’esame dei movimenti attivi, dei movimenti passivi sia fisiologici sia accessori e di tutti gli alti test che non richiedono la collaborazione del paziente, deve quindi essere un momento attivo, condiviso e chiaro.
L’importanza di comunicare con il paziente
Noi abbiamo il dovere di spiegare al paziente, il motivo per cui facciamo alcuni test e non altri, perché scrutiniamo una struttura e non un’altra.
Ed il paziente ha il diritto di sapere che ogni nostra scelta è dettata da un ragionamento preciso e lineare.
Ecco in definitiva un esempio di cosa significhi tradurre in pratica il ragionamento clinico.
Ovviamente c’è molto altro ma di questo, ne parleremo un’altra volta.
Di sicuro, i tempi in cui si faceva un massaggio e si lasciava il paziente solo in ambulatorio, attaccato ad un elettromedicale, sono molto lontani.