30 Giugno 2018

Fascite plantare: parte 2

“Appoggiare il piede al mattino è diventato un incubo!”

La fascite plantare, delle cui cause estrinseche abbiamo parlato nel precedente post, è considerata da parte degli sportivi, come una delle problematiche più difficili da gestire.

Infatti, nonostante si siano fatti passi avanti in termini di ricerca e di studio della patologia, ancora oggi c’è molta confusione quando si parla di fascite plantare e di come si gestisce.

Credetemi se dico che quasi mai né l’atleta né chi lo segue, ha una idea chiara su cosa sia opportuno fare o  cosa sia opportuno non fare, quando si presentano i primi sintomi.

Importanza di una diagnosi corretta della fascite plantare

Innanzitutto è essenziale che vi sia una diagnosi certa che normalmente, è basata sull’indagine clinica senza che sia necessario ricorrere a indagini strumentali approfondite.

Normalmente, il dolore è localizzato nella porzione antero-interna del calcagno, dove è facile rilevare alla palpazione di una mano esperta, una zona di tensione associata a dolore.

Il dolore solitamente è molto maggiore al mattino, non tanto al risveglio ma, proprio al momento dell’appoggio del piede a terra e nei primi passi.

Poi di norma, il dolore tende a diminuire e se siamo nelle primissime fasi, potrebbe anche non ricomparire nemmeno durante l’attività sportiva.

Questo è il motivo principale per cui troppo spesso, l’esordio dei sintomi è considerato poco rilevante dai pazienti e assolutamente compatibile con lo svolgimento dell’attività sportiva.

Questo potrebbe essere un grosso errore!

Infatti, se l’efficacia del trattamento è tanto migliore quanto prima si intraprende il percorso terapeutico, al contrario la gestione adeguata di  una fascite plantare diagnosticata tardivamente, è alquanto problematica.

E non è detto che non si sia costretti a consigliare all’atleta di sospendere l’attività sportiva per i tempi necessari alla risoluzione spontanea ovvero, per circa 6-7 mesi.

Che cosa fare quindi?

Dopo anni di pratica clinica, posso dire che a mio avviso, la terapia manuale è la strategia più efficace nell’approccio alla fascite plantare purché si considerino sempre i seguenti fattori:

  • pianificare sempre una corretta valutazione della mobilità intrinseca ed estrinseca del piede 
  • considerare un trattamento globale soprattutto rivolto alle componenti muscolari e fasciali.
  • includere nel trattamento e l’utilizzo di tecniche di mobilizzazione del sistema nervoso (il ramo calcaneare del nervo tibiale posteriore è spesso coinvolto).
Fascite plantare: parte 2 - Andrea Benvenuti
Scala di valutazione del dolore

Con questa impostazione, non di rado si riesce ad arrivare ad una riduzione del dolore nell’ordine del 70-80%  entro poche sedute.

Scala di valutazione del dolore

Una riduzione di tale entità, ovviamente permette un ritorno precoce all’attività sportiva tuttavia, è essenziale informare correttamente il paziente circa le adeguate modalità di gestione del dolore.

Quello che normalmente consiglio è:

  • Rispettare il dolore
  • Utilizzare calzature morbide
  • Evitare l’uso di talloniere che quanto morbide, comportano un innalzamento del tallone di qualche grado rispetto al terreno, con conseguente aumento di tensione della fascia plantare.
  • Utilizzare solette morbide in silicone per tutta la lunghezza del piede, da porre nelle calzature che si utilizzano durante il giorno.
  • Non farsi prendere dalla tentazione di auto-massaggiarsi la zona dolente, con le mani, palline da tennis, palline da golf, e quant’altro.
Fascite plantare: parte 2 - Andrea Benvenuti
  • Non utilizzare splint o ausili vari per tenere il piede in allungamento durante le ore notturne. Sono numerosi gli studi che ne testimoniano l’assoluta inefficacia
  • Dopo l’attività sportiva, utilizzare ghiaccio per 15′

Un ultimo importantissimo dettaglio

Rimane però, un’ultima essenziale informazione che si deve dare al paziente.

Per quanto con il trattamento e con l’osservanza dei consigli di cui sopra,  si possa riprendere l’attività sportiva in tempi rapidi, il dolore non scomparirà.

Ed è inutile farsi alcuna illusione.

Il dolore rimarrà, a livelli più o meno intensi per circa 6-7 mesi ed è necessario informare il paziente di questo aspetto in modo chiaro ed esaustivo.

E come dicevo sopra, il dolore deve essere assolutamente rispettato.

Questo perchè, al di là della soggettiva capacità di sopportazione, farsi prendere dalla frenesia agonistica e sovraccaricare eccessivamente la fascia, potrebbe causare effetti collaterali anche di una certa entità.

Non fate gli eroi!

Una complicanza da tenere in considerazione ad esempio, se il dolore non tende a diminuire, è che vi sia stata una lesione anche solo parziale dell’aponeurosi plantare.

Essa si manifesta generalmente durante l’attività sportiva, con un fitta di lieve intensità, che raramente impedisce di terminare la sessione di allenamento.

Tuttavia, nelle ore successive si evidenziano i segni tipici dell’infiammazione ovvero gonfiore, rossore, dolore e incapacità di camminare correttamente.

In questi casi, bisogna attendere tra i 3 e i 5 giorni per poi eseguire un approfondimento diagnostico per confermare la presenza di lesione.

Esami strumentali

Sicuramente la Risonanza Magnetica  è l’esame elettivo che ci toglie ogni dubbio  mentre,  con l’ecografia questo non sempre avviene.

Tuttavia, a creare problemi di solito, non è tanto la lesione in sè, ma gli effetti secondari ad essa.

Durante il processo riparativo infatti, spesso si evidenzia la formazione di fibrosi ( sostanzialmente cicatrici del tessuto connettivo), che non consentono alla fascia plantare il corretto ritorno alla lunghezza normale.

Ed è proprio in questi casi, che ci si deve scontrare con la difficile ammissione che la fisioterapia risulta spesso inefficace e che,  diventa necessario valutare l’indicazione chirurgica.

Non vi spaventate però!

L’intervento chirurgico, è di norma piuttosto semplice e comporta una incisione di circa 3-4 centimetri sulla porzione mediale del tallone.

Solitamente, la riabilitazione post chirurgica non necessità di particolari precauzioni, ma la qualità della rieducazione neuromuscolare va attentamente monitorata.

Detto questo, rispettando i tempi e armandosi di pazienza, se tutto va bene, la ripresa degli allenamenti avviene di solito in circa 5-6 settimane senza  complicazioni particolari.

Spero di avervi dato qualche indicazione utile.

Ci vediamo al prossimo articolo e mi raccomando, se avete dubbi o domande, non esitate a scrivermi.

Alla prossima

Andrea


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